In questi giorni, in qualche classe, mi hanno posto questa semplice e istintiva domanda. Mi sono preso una mezzora per rispondere: forse la prossima volta non mi faranno più domande del genere. Scherzi a parte, se l’insegnamento della geografia vuol essere utile alla formazione di cittadini preparati, il suo programma dovrebbe in continuazione potersi piegare alle esigenze del tempo presente, ai casi da spiegare, oggi, ora, adesso, in classe, per capire un po’ di più le tante cose che succedono quotidianamente là fuori. Un là talvolta anche molto distante da qui che pure ha e avrà ripercussioni importanti anche sulle nostre singole vite.
Provare a spiegare quanto accade in Ucraina non è stata una passeggiata. Bando alle semplificazioni che tanto vanno di moda – non richiedono fatica -, come quasi ogni caso della geografia e della storia, anche quello ucraino non è semplice da capire: una fitta rete di rivendicazioni, poteri, aspirazioni, interessi tessono una trama complessa, in cui è difficile mettersi da una parte o dall’altra, capire se esista o meno una ragione prevalente.
Un po’ di storia, anzitutto. L’Ucraina, formalmente indipendente e autonoma dall’estate del 1991, è un paese spaccato a metà. Ad ovest ci sono gli ucraini doc (che parlano ucraino e che appartengono alla chiesa uniate) e a est del fiume Dnepr gli ucraini che parlano russo o che sono russi trapiantati nei decenni passati in territorio ucraino (per la stragrande maggioranza cristiano ortodossi). Questa spaccatura etnica si sovrappone in modo piuttosto omogeneo ad una spaccatura politica chiaramente visibile consultando le due carte tematiche qui sotto, relative ai risultati delle consultazioni elettorali del 2004 e 2010. I primi ricercano da tempo un legame con l’Europa, soprattutto per svincolarsi dall’ingombrante presenza moscovita, i secondi invece credono saldamente al legame storico, politico e spirituale che li lega alla Russia (molti di loro intrattengono ancora forti legami con i territori russi per lavoro, relazioni famigliari, ec).
In questo momento di grande difficoltà economica e politica la parte di ucraini che si oppone al progetto di Putin (riportare il paese nella sfera d’influenza di Mosca) si è risvegliata e ha chiesto con maggiore forza indipendenza.
La storia si ripete (come ai tempi della nascente URSS e di Lenin) e l’idea nazionale ucraina si definisce ancora una volta in opposizione a Mosca e alle sue rinnovate ambizioni di conquista. Va tenuto conto che più della metà della popolazione ucraina però ha radici russe: in questo momento se ne sta silente e assiste alle proteste che divampano nel sud e nell’ovest del paese, ma sarebbe probabilmente pronta a difendere i propri legami storici con Mosca.
Bene, ora dobbiamo dividere la nostra analisi su due piani: quello delle proteste in piazza e quello geopolitico.
Partiamo dalla piazza. La protesta divampata negli ultimi mesi non è teleguidata da un unico centro di potere, ma diffusa, spontanea e contraddittoria, mobilita migliaia di persone di vario orientamento politico (non solo i filoeuropei, ma i nazionalisti, le opposizioni di governo e via dicendo) scese in piazza per motivi e con finalità molto diverse, certo per la maggior parte disgustate dal regime (si leggano le testimonianze più credibili) ed esasperate dalla grave crisi economica (insieme alla Bulgaria l’Ucraina è il paese con il più alto tasso di emigrazione al mondo). L’aspirazione all’Europa è in molti casi solo il riflesso della paura di tornare indietro alle dipendenze di Mosca.
La Comunità Europea nata con l’intento di abbattere le dogane e unire le nazioni fallisce entro i suoi confini – priva di una visione politica e succube dei grandi poteri finanziari che la stanno macellando (hanno iniziato a sistemare i PIIGS lungo l’asse sud/nord, ma a breve rivolgeranno la loro attenzione anche più a settentrione), oggi vede rifiorire al suo interno movimenti e spinte nazionalistiche – e viene vista all’esterno, ad esempio in Ucraina, come strumento utile alla rinascita nazionale minacciata dalle brame di Putin.
Bene, questa è una parte della questione, bisogna ora spostare lo sguardo sugli scenari geopolitici.
In campo geopolitico l’Europa ha responsabilità enormi.
La rigidità mostrata dai delegati europei due mesi fa al vertice di Vilnius ha avuto tra i suoi esiti quello di far esplodere le contraddizioni interne all’Ucraina. Alcuni analisti sottolineano come, nel caos, sia più semplice allungare le mani sui territori ucraini porta dell’Eurasia. Questo scenario farebbe gola anche oltreoceano in quanto consentirebbe di estendere i confini NATO fino alle porte di Mosca. A quel punto, si configurerebbe il probabile avvio di una nuova guerra fredda, dagli esiti questa volta ben più incerti.
Se l’ipotesi può apparire surreale va ricordato che si tratterebbe solo dell’ennesimo caso ascrivibile alla politica di accerchiamento della Russia iniziata dall’UE alla caduta dell’URSS nei primi anni Novanta e giunta fino all’ingresso della Romania nella NATO nel 2004 (fortemente voluta dagli USA per controllare militarmente la vicina Ucraina e il Mar Nero). L’Europa in questi decenni ha offerto protezione agli oligarchi dei paesi ex sovietici e possibilità di ospitare nelle banche occidentali i capitali che costoro trafugavano dall’URSS in dismissione.
Ora la situazione però è cambiata, Mosca persegue (spesso grossolanamente) il suo disegno di rifondare la Grande Russia stringendo accordi militari e commerciali a Oriente e utilizzando le sue risorse strategiche per addomesticare i propri partners.
Putin ha offerto al presidente ucraino un prestito da 15 miliardi di euro per affrontare l’emergenza attuale e la firma di un’intesa preliminare per diminuire il prezzo del gas a 280 dollari per mille metri cubi – 2/3 rispetto a quanto pagano gli altri paesi europei – per un risparmio complessivo di Kiev da due miliardi di dollari l’anno. Si tratta di una proposta di dimensioni inimmaginabili per l’Europa, un atto politico con cui Putin difende la storia russa, oltre che una parte cospicua dei cittadini ucraini. I russi sono stati ampiamente discriminati nelle repubbliche baltiche dopo il crollo sovietico. In Ucraina si immaginano di dover subire la stessa sorte una volta entrati nell’Unione Europea. E, ribadisco, non possiamo dimenticare che la maggioranza dei 48 milioni di ucraini è composta da persone di lingua e cultura russa.
L’Europa occidentale ha scelto quindi consapevolmente di aprire una crisi pericolosa che non tiene conto della storia, delle conseguenze per le persone, e ancora una volta ossequia la Troika e gli altri poteri forti che aleggiano sopra Bruxelles. Un tentativo di make up del declino che potrebbe persino avere un esito beffardo: accelerarlo.