Poche righe che contengono molta verità quelle nell’articolo uscito qualche giorno fa su Il Manifesto dal titolo: “La cattiva retorica dell’insegnante eroe e missionario“. Vi invito a leggerlo.
Come docenti siamo immersi in un rumore sempre più disturbante. Innumerevoli e sempre crescenti formalità, autonomia ormai ridotta ai minimi storici, una gran quantità di impegni poco o per nulla utili e con la digitalizzazione forzata e primitiva dei tempi che corrono, un profluvio di stimoli quasi ingestibile.
Abbiamo certamente delle colpe, ma sarebbe facile cavarsela così. Provate a fare due conti: io (io come tantissimi altri) ho 8 classi, duecento studenti, una cinquantina di colleghi, una variegata serie di impegni legati a progetti di alternanza scuola lavoro, all’orientamento, agli open day, al dipartimento di materia e ad altre cose che ora non mi sovvengono.
Moltiplicate per i numeri sopracitati le verifiche, i compiti, le interrogazioni, i consigli di classe, i colloqui, un banale tentativo di interazione umana (parlare di “attenzione” farebbe sorridere) con gli studenti. Tutto questo finisce per comprimere (distruggere?) il tempo da dedicare al nostro vero e si auspica prezioso lavoro, nonché la freschezza, la vena creativa e comunicativa che sono i canali attraverso cui tutto passa. Non parliamo del tempo per studiare, sembra ormai quasi un lusso. Un lusso, sia chiaro, che mi concedo e rivendico.
Ben coperta dalla retorica della scuola al primo posto (ma chiusa), la scuola sta scomparendo. Ho la netta sensazione che sia tempo di fare qualcosa e scrivere un post qui, mi rendo conto, sia un po’ pochino. Idee?