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Scale, confini e risultati elettorali

Anzitutto, dai, non c’è da fare i sorpresi. La coalizione di destra ormai da trent’anni prende il 40%, rappresenta una parte consistente degli interessi del paese ed è egemone culturalmente: definisce i temi da trattare e come trattarli. Gli altri, sbagliando, inseguono.

Ulteriormente queste elezioni non sorprendono confermando l’effetto “pendolo” che contraddistingue da anni i risultati elettorali dell’Europa occidentale con poche eccezioni: alle elezioni sale al potere chi nel mandato precedente è stato all’opposizione. E questo penso spieghi almeno in parte la differenza tra il risultato di Meloni, senza alcuna responsabilità di governo a urlare cose dalla strada, e quello di Salvini, invischiato nel governo “dei migliori”.

Questo pendolo viene attivato dal costante scontento degli elettori davanti al magro operato della politica, segue il tentativo di provare tutti gli schieramenti e tutte le soluzioni, sperando che almeno uno sappia mantenere le promesse fatte.

Le promesse però non possono nella maggior parte dei casi più realizzarsi. Qui serve un salto di scala, la geografia ci aiuta anche stavolta: mentre la globalizzazione ha portato la maggior parte delle cose che ci succedono a scala trasnazionale, la politica, che dovrebbe gestirle, è rimasta inchiodata alla dimensione statale. Abbiamo per le mani uno strumento piccolo, poco efficace, per governare problemi molto grandi che tendono a ignorare i confini (e quindi il potere) dei singoli stati: clima, delocalizzazioni, migrazioni, terrorismo, ec. Agire solo a livello statale per molti di questi temi equivale a tentare di svuotare un lago con paletta e secchiello.

Quello che la maggior parte di noi percepisce o elabora più o meno fantasiosamente in questo procedere delle cose è una sempre minor utilità della politica (pensiamo all’acclamazione dei tecnici e al contemporaneo aumento dell’astensionismo).
Intanto, privato del suo slancio immaginativo e trasformativo, incapace di incidere sul reale, quello della politica diventa sempre più un circolo autoreferenziale, teso al mantenimento di posizioni di potere e loro usufrutto (per fare un esempio di questi giorni, nella campagna elettorale i candidati passano il tempo a darsi addosso e non a disquisire dei problemi del paese).

Infine la questione dei confini.
La globalizzazione degli anni novanta e duemila prometteva di dissolverli e dava l’idea che fossero un ferro vecchio buono soltanto per i boomers.
Forse abbiamo dato troppo credito a questa lettura banale dimenticando che i confini definiscono le identità e rispondono a bisogni profondi dell’essere umano. Passiamo il tempo, anche nel commento elettorale, a tracciare la linea tra “noi” e “loro”. Ogni confine che si toglie – sia esso una dogana, un diritto, la messa in discussione dei generi sessuali – lascia degli orfani che si sentiranno più in pericolo, più a disagio, che avranno bisogno di protezione e cercheranno questa protezione dietro il primo riparo possibile. I politicanti venditori di muri invalicabili e ritorni all’età dell’oro e della purezza sono lì ad aspettarli.

Forse noi, che oggi abbiamo tanta voglia di pubblicare post e commenti con scritto “adesso emigro” e prendercela in modo sprezzante (ignoranti, beceri, vecchi, gente che non ha studiato la storia, ec) con chi esprime un parere diverso dal nostro, dovremmo tornare a ragionare sul concetto di confine (e anche un pochettino su quello di democrazia). Senza svenderlo e ricordando che serve, a noi come a tutti.
Ridefinire il senso del confine, scegliere quali conservare e come, tenendo presente che non siamo tutti uguali e che non abbiamo sempre la ragione in tasca.

Perfect day

Oggi mi accontento di mettere in fila il sommario del tg regionale: Formigoni riammesso – trascurando qualche regola, che sarà mai! – alle prossime elezioni; proteste a Brescia per i tagli alla scuola pubblica che costringeranno i genitori a pagarsi del personale extrascolastico per tappare i buchi provocati dalla “riforma” Gelmini; a Milano, clochard colpito a morte con un manganello e un cacciavite da tre ventenni di buona famiglia; presso la città della moda inizia la settimana della pelliccia: quarantamila euro il capo più costoso; sempre a Milano, raduno internazionale degli esperti in ufologia. E la cosa bella è che non sto scherzando.
Uno dei tratti caratteristici di questi tempi è che, in qualche modo, sono tristi. Non so se è una sensazione solo mia o dei comunisti dei centri sociali che non ridono mai e sono sempre impegnati, ma, a vederla così, questa volta, pare ci riguardi un po’ tutti.

E’ un po’ di giorni che ci sto pensando, a dire il vero: guardandola da vicino, la tristezza, non ci si capisce molto, e forse non è neanche il sostantivo corretto con cui chiamare questa cosa qui che ci succede. Di certo, nascono alcune domande a cui vorrei dare risposta e su cui vorrei provaste a ragionare anche voi.
Andando per gradi: sono o non sono tempi tristi? sono più tristi di ieri? se sì, perchè? da dove arriva, se c’è, la tristezza? è in noi e nel nostro modo di vivere? o deriva dal contesto sociale, politico, economico in cui viviamo? è forse colpa della televisione che ci propone il peggio?

E poi: ci lamentiamo costantemente del presente, ma sapremmo dire con esattezza cosa vorremmo cambiare? pensiamo di poter fare qualcosa per migliorare la nostra condizione? e, se sì, lo facciamo?

Siamo soddisfatti? davvero? ci va bene così?
Come diceva il compianto Lévi-Strauss, spunti buoni da pensare durante la vostra domenica (è proprio vero e questo lo conferma: noi
secondo una navigata definizione – comunisti dei centri sociali siamo tristi).


Qualche pensierino… in vista delle regionali.

Arcore - questa mattina diversi sindaci brianzoli in manifestazione


Con deliberazione n° VIII/011255 del 10/02/2010, Regione Lombardia ha stabilito il riparto delle risorse economiche, per l’anno corrente, del Fondo Nazionale per le Politiche Sociali.
Questo fondo, nato per volontà della Legge Turco, avrebbe dovuto essere ad esclusivo uso dei Comuni in quanto erogatori e titolari dei servizi alla persona. Le quote avrebbero dovuto quindi servire all’erogazione ed al potenziamento dei servizi sociali alle comunità.
Purtroppo, di anno in anno, Regione Lombardia ha aumentato la quota trattenuta a sè, sottraendo risorse finalizzate ai Piani Sociali di Zona.

Solo nei tre distretti lecchesi il taglio delle risorse destinate “al sociale” si attesta attorno al – 54% (pari a 1.5 milioni di euro).
Come sempre, insomma, nel pure spirito federalista che li guida.
Giusto per non rimanere nel vago, qualche ulteriore dato:


A questi mancati trasferimenti dovranno sopperire direttamente i Comuni, con stanziamenti propri, in una condizione che, come noto, vede le amministrazioni già limitate dai vincoli del patto di stabilità definito dalla finanziaria 2010.
Non è un caso se oggi, e in molte altre occasioni, i sindaci abbiano manifestato la loro preoccupazione per la sorte degli enti locali.
E l’anno prossimo toccherà alle scuole subire gli effetti dei pesanti tagli firmati Gelmini (vedi qui e qui). Allora i genitori se ne accorgeranno, ma sarà troppo tardi.