Intervengo nel dibattito sulla cultura dell’Avere

Riprendendo e integrando l’articolo già presentato, sulla Bolivia, intervengo nel dibattito tra Don Giorgio DeCapitani e diversi cittadini della provincia attorno al tema: “La cultura dell’Avere”.


Vorrei aprire una meta-discussione, una “discussione” sulla discussione in atto tra Don Giorgio DeCapitani e diversi cittadini, attorno alla “cultura dell’Avere”. Mi pare opportuno infatti rivedere i termini della questione che, dopo l’ultimo intervento del Sig. Luca Maggioni, si sta riducendo a un ripetitivo batti e ribatti, vuoto e sempre uguale a se stesso. Luca Maggioni è infatti l’ennesima persona che accusa Don Giorgio per i riferimenti espliciti che inserisce nei suoi scritti, ne critica ancora una volta la forma, senza capirne, o quanto meno ignorandone intenzionalmente, i contenuti, ai quali invero non fa riferimento.
Questa, riguardo la “cultura dell’Avere”, è una discussione fondamentale per il nostro tempo, un momento storico che da più parti da segno di essere malato e in cui è cruciale iniziare a preoccuparsi della sua salute, a interrogarsi sul suo stato.
La cosa che fa più impressione del nostro vivere quotidiano è proprio l’assenza di interrogazione. La società è avvolta in quello che Pierre Bordieu per primo definì “pensiero unico”, è una società che ha smesso di interrogarsi su se stessa, di mettersi in discussione. Il consumo di luoghi, cibi, oggetti, libri, immagini, sesso, sembrano aver relegato il pensiero critico all’attività di pochi individui “un po’ strani”. Questo modus vivendi è, logicamente, gravido di conseguenze e mai come ora pare il momento di riflettere: una società che non si pone più dubbi è come un uomo che non ripensa se stesso, è un gruppo sociale moralmente morto, è una società che vede spirare la propria anima collettiva. Di questo parere sono molti dei più importanti pensatori contemporanei, Bauman, Castoriadis, Virilio, solo per citare i più recenti, solo per dire che, le su esposte, non sono idee di un folle.
Avviare una seria discussione riguardo all’attuale modello sociale e agli effetti che esso crea nella vita dei singoli individui è perciò fondamentale, ma occorre elevare il livello della discussione ad un piano Politico con la “p” maiuscola, senza proporre un continuo attacco e una altrettanto pervicace difesa all’immagine di un uomo.
Don Giorgio utilizza spesso la metafora di Berlusconi come immagine sociale della cultura dell’avere – non una cattiva metafora, a par di chi scrive. Questa è per molti una modalità opinabile di interpretare il ruolo di ministro di Cristo e attorno a questo punto è finora ruotata tutta la discussione presente sul sito.
Ma se parlassimo per una volta di contenuti, che ci piaccia o no, la metafora adoperata da Don Giorgio, come ogni altra metafora, deve rimandare ad altro, non ha valore di per sé, ma è allegoria di una cultura. Mai come in questo caso ritorna valido un celebre detto, mai come nel caso delle parole di Don Giorgio bisognerebbe andare oltre, guardare alla luna e non al dito. Non è importante disaminare come sia il dito di Don Giorgio, tozzo, magro, teso o nervoso, ma comprendere la direzione che esso ci indica. E’ necessario andare oltre l’immagine di Berlusconi e Formigoni – che, ripeto, possono essere vittime di una modalità sbagliata di comunicare un concetto, ma sono mezzi e non fini! – e cercare di cogliere il messaggio che si vuole trasmettere tramite questi esempi.
Sarebbe opportuno perciò sfruttare le provocatorie riflessioni di Don Giorgio in modo realmente costruttivo, cercando di rispondere veramente alla domanda che ci pone. Quanta importanza ha l’attuale modello sociale, basato sull’egoismo, la scarsa attenzione all’altro e non particolarmente incline al rispetto delle regole, con la decadenza della società contemporanea? Quanto conta l’adesione ad un determinato sistema socio-economico nella formazione e nel comportamento dell’individuo?
Insomma, secondo Don Giorgio – parafraso spero senza banalizzare troppo – l’attuale società vive un momento di decadenza perché è proiettata all’inseguimento di fatui miti quali soldi e potere e, né dalla famiglia né dalle altre agenzie di valori, sembra pervenire alcun tipo di nota critica rispetto a tale modello. Anzi, competizione, individualismo e sospetto dell’Atro, soprattutto se più debole – quando non sostituite da una totale assenza di valori e dal rimbecillimento – sono le parole chiavi su cui si formano le personalità degli strati sociali più giovani.
Tale visione è sbagliata? È scorretta? Esistono, secondo voi, altri motivi maggiormente plausibili per giustificare l’attuale assenza di etica? Oppure trovate che, l’attuale, sia un periodo florido della civiltà umana?
Ecco, confrontiamoci su questi temi, andando oltre le facce e gli schieramenti precostituiti, cogliamo le riflessioni di Don Giorgio come punto di partenza per costruire un serio dialogo, senza il solito batti e ribatti sui modi e le forme – peraltro importanti – parliamo di contenuti!
Di par mio credo che Don Giorgio faccia spesso analisi piuttosto lucide e raffinate sull’uomo moderno e la sua società. Che il modello sociale tardo-capitalista, che si fonda sulla cultura del potere e dell’egoismo, sia una delle principali cause della cattiva salute di questa società è innegabile, lo è ancor più oggi, in questi tempi di galoppante globalizzazione, in cui l’economia rivendica un primato certo sulla politica e sull’etica. Come si dice: “gli affari sono affari” vero?
Basta guardarsi attorno per cogliere i preoccupanti segni dei vuoti di valori che ci accompagnano lungo il quotidiano cammino, e se ciò non fosse sufficiente basterebbe scorrere velocemente i dati fornitici dai più importanti organi sovranazionali, come FAO, ONU e UNICEF, che evidenziano in modo fin troppo chiaro che qualcosa in questo nostro mondo non funziona a dovere.
Solo per fare qualche esempio: quarant’anni fa il reddito del 5% più ricco della popolazione mondiale era 30 volte superiore al reddito del 5% più povero, dieci anni fa lo stesso rapporto era di 60 a 1, ad oggi la ratio è di 114 a 1, cioè il 5% della terra più ricco ha un reddito di centoquattordici volte superiore rispetto a quello del 5% più povero. Le 500 persone più ricche della terra posseggono da sole un reddito che è pari alla somma dei redditi del 50% più povero del pianeta. Mentre noi stiamo scegliendo se iscrivere nostro figlio alla scuola pubblica o a quella privata, ad una scuola gestita da religiosi o a un istituto “laico”, 100 milioni di bambini nel mondo non hanno alcun accesso a nessun tipo di istruzione e sono paradossalmente di più, 400 milioni, i bambini che non hanno accesso all’acqua potabile. Sono complessivamente 1 miliardo le persone che non hanno a disposizione acqua sufficiente a dissetare le proprie comunità. 2,6 miliardi di persone non sanno cosa siano i servizi sanitari. Sono quasi un miliardo le persone malnutrite e la grande maggioranza di esse, secondo i dati FAO, vive in paesi in via di sviluppo, che rappresentano il 95% (798 milioni) di tali persone; 34 milioni di persone nei paesi in via di transizione e 10 milioni in paesi industrializzati, sono stimate come sottoalimentate.
E’ difficile vivere con serena coscienza, pensando che tutto sia a posto, alla luce di questi dati, e a tal proposito mi viene in mente un piccolo libricino, del già citato Zygmunt Bauman, che ho da poco finito di leggere, e che consiglierei a tutti (s’intitola “Homo Consumens”, Edizioni Erickson), in cui il pensatore polacco illustra in modo molto chiaro e diretto come l’uomo occidentale-moderno preso dal suo produrre/consumare (bruciare/sciupare), sia ormai totalmente narcotizzato nella sua percezione dell’altro da sé, abbia cancellato dalla sua coscienza sociale la responsabilità nei confronti di ciò che non è tra i suoi privati e legittimi interessi, o tra quelli della sua comunità, del suo partito, della sua cerchia. L’uomo ha dimenticato l’altro, ci avverte Bauman, e dimenticando l’Altro ha consegnato il proprio senso di responsabilità e cooperazione ad una economia individualista, l’economia del proprio interesse sopra ogni cosa, rinunciando con esso ai mattoni con cui costruire una società più equa e giusta.
A voi la parola.



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