In India – G20 e dintorni

A Kamalapura ogni muro del paese riporta la scritta “G20” accompagnata da alcuni slogan entusiastici: “one world, one family” e altre idiozie del genere. Anche negli scorci più diseredati, tra animali e uomini che rovistano nella spazzatura, si vedono scritte colorate che ricordano il recente summit a sfondo culturale delle 20 maggiori economie mondiali, dal 09 al 16 luglio, proprio qui ad Hampi.


Gli abitanti raccontano quei giorni così: politici e delegati chiusi nell’unico resort di lusso attiguo a rovine e templi e poi blindatissimi trasferimenti con pulmini per mirate visite alle parti migliori del sito archeologico. Kamalapura ci ha guadagnato un po’ di strade riasfaltate di fresco o asfaltate per le prima volta.


Nel vasto sito di Hampi i templi si possono raggiungere tramite sterrate e strade di campagna, che seguono sinuose le forme collinari del terreno. Enormi formazioni di massi ovali accatastati gli uni sugli altri formano veri e propri rilievi e sorvegliano come ciclopi l’orizzonte, lussureggianti palmeti, fanno da cornice a coltivazioni di banane e risaie. Il fiume Tungabhadra serpeggia placido con le sue acque color tè e latte abbeverando uomini e colture.
Una signora uscita da un altro tempo, con un volto di mogano, gli occhi sottili, il corpo gracile, un bellissimo sari fucsia e argento, beve acqua direttamente dal fiume, a grandi sorsi. Lo fa con la naturalezza di chi compie un gesto quotidiano.

Lasciata la strada principale il traffico è quasi assente, noleggiamo delle bici e ci immergiamo tra campi di riso e specchi d’acqua, ibis e aironi prendono il volo al nostro passaggio. Molti lavorano nelle risaie anche sotto il durissimo sole del pomeriggio. Gli abiti delle donne colorano l’orizzonte della campagna, mentre mettono a dimora le giovani piantine di riso; gli uomini arano, con buoi o trattori, sprofondando a piedi scalzi nel fango. Non solo pietre, sono anche archeologie umane queste campagne, paesaggi che sopravvivono ai secoli.

Tutta l’area è popolata da scimmie, macachi e langoor in particolare. Saltano da palma a palma, si arrampicano sulle meravigliose sculture nei templi. La scimmia è animale venerato, Hanuman è il dio scimmia, qui gli è stato eretto un tempio sulla sommità di una panoramicissima collina. Le ripide scale che portano al tempio sono quotidianamente popolate da un interminabile serpente di pellegrini. Famiglie, uomini e donne comuni, ma anche asceti e santoni, fanno subito venire alla mente le ben più note immagini della città santa di Varanasi, o Benares come si chiamava un tempo.

Bisogna stare attenti quando ci si ferma anche solo un istante e ci sono scimmie nei paraggi: se vedono cibo o bottigliette partono all’assalto e se li prendono.
Francesca fa l’errore di passare sotto un albero popolato di scimmie con una bottiglietta di Coca Cola in mano. Viene inseguita da un macaco di una ventina di chili fino a quando non molla la presa e getta la bottiglia a terra. Rapido il nostro lontano cugino raccoglie, porta al sicuro e, svitato con facilità il tappo, beve di gusto.


Matanga Hill è un luogo appartato e commovente che domina il cuore dell’area archeologica. Si parte dalla base della collina dove c’è un ashram jainista e ci si incammina verso la vetta per un sentiero che poi diventa una scala fatta di enormi gradini di roccia, semplicemente appoggiati gli uni sugli altri. A guardarla dal basso sembra una ziqqurat babilonese.


Ad ogni rampa di scale l’orizzonte si amplia, il senso di vertigine aumenta. Sulla sommità un tempio indù disabitato. Nei suoi locali in stato di abbandono rimane una piccola statua di vacca a cui tutt’oggi vengono portati omaggi, le si vedono attorno candele e corone di fiori freschi.
Agosto ad Hampi, per via del caldo e del monsone, è considerato bassa stagione e si possono visitare luoghi incantevoli senza incontrare un turista. Si è soli al cospetto di una bellezza che, nella commistione tra fatti naturali e opera umana, è difficile restituire a parole.

Attendiamo il tramonto quassù, con i raggi rossi e verdi che si stemperano lentamente nella piana, fino all’orizzonte perso in una lieve foschia.
Mentre contempliamo assorti tanta privilegiata meraviglia, si sente un canto provenire dall’interno del tempio e avvicinarsi. Dalla porta compare un uomo che porta tutti i distintivi del santone; cammina lentamente verso il sole recitando dei mantra, poi si ferma, si gira verso di noi, e resta immobile, tra noi e il sole, fissandoci in silenzio per qualche lungo minuto. L’atmosfera è irreale. Dopo un lasso di tempo indefinito riprende la via del tempio, ci passa di fianco, ci chiede con fare ieratico da quale paese proveniamo e poi, dandoci le spalle, rientra nell’edificio e si volatilizza.

Tante volte, signori e signore, questo paese sa essere sfacciatamente, meravigliosamente, cinematografico. Quando capito dentro scene come questa, resto sempre sospeso in una sensazione tra gratitudine e incredulità. E qui mi capita con una frequenza e un’intensità che sinceramente non ricordo altrove.

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