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Il pericolo percepito e la paura reale

In questi anni di certo la paura per la criminalità si è diffusa molto, spesso associandosi nel discorso pubblico al fenomeno migratorio con un’equazione piuttosto semplice: più immigrati, più reati sul territorio. I dati però, spiega Cornelli, dicono altro:  «L’aumento dei reati in Italia è avvenuto in un periodo in cui i flussi migratori erano minimi e quasi tutti legati a  comunità consolidate: i filippini che svolgevano mansioni domestiche durante gli anni ottanta, per fare un esempio. Negli anni Novanta cresce il numero degli immigrati, ma in un panorama in cui il numero di reati diminuisce o resta stabile. Ad esempio, in quegli anni assistiamo a una sensibile diminuzione degli omicidi».

Elia Aureli di CambiaMenti con Cornelli
Elia Aureli di CambiaMenti con Cornelli

Un nuovo articolo scritto per Vorrei propone l’analisi di Roberto Cornelli, criminologo della Bicocca, che indaga il rapporto tra percezione collettiva e politiche di ordine pubblico.

 

Patologie 3.0

Il male come guasto del sentire, la percezione deforme o forse limpidissima, tanto limpida da capire che siamo. Decidere di non affrontarsi, lasciarci e, tristemente, ritrovarsi. Avvertire il desiderio di sentire, soffrire sentendo cosa non si è più. Cosa si vorrebbe essere (sperando di raggiungerlo con la sofferenza). Il male nuovo, intimo, tale da confondere il sintomo con la causa, l’oggetto con la cura. Quel male è inafferrabile, e fa dubitare della lunghezza, del senso e del piacere: pone interrogativi e, quel ch’è peggio, li risolve con risposte definitive. Fa dubitare di ogni centimetro di pelle, delle proprie braccia e della propria casa; non si può distruggere si deve accettare. Quel male non riempie, svuota. Quel male è il vuoto, non esiste; siamo noi.

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